Sandplay Therapy
Cenni sulla storia della sand play therapy
Dora Kalff, analizzata da Emma Jung ed allieva di Jung negli anni ’40, era stata molto colpita da Margaret Lowenfeld che era venuta a presentare il “gioco del mondo”, da lei inventato, per la cura dei disturbi psichici infantili, utilizzando le eccezionali potenzialità di cassette di sabbia nelle quali i suoi piccoli pazienti potevano esprimere i conflitti che erano alla base delle loro sofferenze. Dopo averla raggiunta a Londra per un certo periodo, tornata a Zurigo (siamo agli inizi degli anni ’50, l’Istituto Jung è stato fondato nel 1948) aveva, in seguito alla propria sperimentazione del metodo, modificato “il gioco del mondo” in un modo originale, largamente influenzata dalle conoscenze della Psicologia Analitica sull’ importanza dell’Inconscio Collettivo, come matrice della coscienza individuale.
Nasceva così la” Sand Play Therapy” di Dora Kalff.
Il metodo è attualmente molto diffuso nel mondo Junghiano, sia in Europa che negli Stati Uniti, in Canada, in Brasile, in Giappone … per cui rimando per informazioni al WEB (voci Sand Play, Gioco della Sabbia, ISST, AISPT) e alla ormai vastissima bibliografia clinica che, iniziata negli anni ’70, si è ulteriormente arricchita nei decenni seguenti.
… e sulla mia formazione
Sono molto grata a Dora Kalff per l’esperienza che l’incontro con la sua personalità mi ha permesso di vivere e per il metodo che da lei ho appreso e che ha contrassegnato e nutrito la mia pratica da psicologa analista.
Ho fatto prima un’esperienza con lei (1983-84) a Zöllikon, quindi ne sono diventata allieva fino alla sua morte nel 1990. Anni intensi di ricerca interiore e di passione professionale, di sodalizi con i colleghi del CIPA (Marco Garzonio , Adriana Mazzarella, Paola Carducci) e dell’AIPA di Roma (in particolare : Andreina Navone, Francesco Montecchi, Daniela Tortolani, Stefano Marinucci, Gianni Nagliero), conosciuti e frequentati a Zöllikon ai seminari dalla Kalff, con i quali progettammo e realizzammo l’AISPT, affiliata ISST, per ricercare e continuare a studiare e anche a proteggere, il metodo del gioco della sabbia, che si è poi inserito pienamente nel setting analitico Junghiano.
La possibilità lasciata al paziente di modellare, creare è molto bene accetta ai bambini ma anche agli adulti ed ha caratterizzato con una continuità significativa la mia pratica psicoterapeutica e molti percorsi analitici fortunati, anche se non tutti; ne ha accompagnato altri in modo saltuario, con una diversa rilevanza clinica e terapeutica ma sempre portando a “galla” aspetti importanti per la relazione analitica.
La perseveranza e la continuità nel gioco, possibile se il paziente la sente come una “necessità”, permette di inscenare un processo attraverso il rapporto con la materia e con gli oggetti nello spazio della sabbiera. Le immagini, costruite con la sola sabbia o con l’uso dei personaggi a disposizione, possono nella loro pregnanza emotiva e simbolica, influenzarne e generarne altre, con l’avvio di processi di consapevolezza ed integrazione che esperienze non “sufficientemente buone” hanno impedito, deviato o non reso possibile. Il Sand Play ha un rapporto speciale con il tempo: il paziente sente quando ha finito di fare la scena e anche quando le sabbie non sono più necessarie, come se un “suo tempo” potesse, nel campo libero e protetto del setting, essere sperimentato e difeso, quale espressione di un “dentro” separato e individuale.
Un percorso di sabbie mette in scena un processo spesso lungo ed articolato che, da una situazione iniziale difficile o perigliosa o molto distante, si snoda, attraverso immagini “arcaiche”, quindi apparentemente molto misteriose, ma “pregne” di un significato simbolico.
Le immagini simboliche , ponte enigmatico e paradossale con un passato “collettivo” e comune al genere umano, contengono anche il germe di un futuro nuovo e possibile; esse sono in grado di “agire” e avviare trasformazioni profonde, liberando energie e potenzialità . Gli effetti positivi sono rivelati dalla qualità della relazione terapeutica, che si fa più ricca e autentica, nel suo gioco di luci e ombre, consapevolezza dei limiti e soprattutto nella acquisizione per il paziente della capacità di reggere la” separazione”. Il sand play può essere strumento prezioso ma ha bisogno di un training specifico. A queste condizioni affianca gli strumenti della psicologia analitica che permettono di entrare in contatto con le risorse inconsce di ognuno di noi.
Le poche immagini che qui aggiungo sono tratte, quasi a caso, dalla riserva preziosa che la mia pratica più che trentennale ha raccolto dai pazienti e da cui anche io sono stata nutrita. Evidenziano lo strato più universale , mitologico e fiabesco, col quale la psiche si costruisce e si esprime e grazie al quale evolve fino a contenuti più specificamente individuali e personali.