Presentazione


La mia formazione analitica è iniziata dopo la specializzazione in psicopedagogia  con Francesco De Bartolomeis (1974), durante la mia esperienza lavorativa come psicopedagogista prima e psicologa poi a Beinasco, nella cintura torinese.  Qui ho avuto il diretto contatto con i problemi nella scuola e le difficoltà di adattamento dei ragazzi, come pure la psicopatologia di figli, genitori e, non di rado, di insegnanti.  Sollecitata dalle tante domande di aiuto, a causa prevalentemente della inadeguatezza di risposte che con fatica andavamo approntando nel lavoro sperimentale delle équipes territoriali,  cominciai a sentire dentro di me l’esigenza di cercare e volere iniziare un’ analisi personale.

Gli incontri con gli analisti junghiani Francesco Ruffini  e Silvia Montefoschi  hanno aperto la strada al mio training al  CIPA di Milano, affiliato della IAAP, la  Società Internazionale fondata da Jung per la formazione nella Psicologia Analitica.  Qui ho completato un lungo training clinico e teorico (analisi didattica con Augusto Romano e  supervisioni individuali con Silvia Di Lorenzo e Giovanni Moretti).   Il mio interesse per l’infanzia e la psicologia dell’età evolutiva trovava nutrimento e guida a Milano attraverso la supervisione con Mariella Loriga Gambino, pioniera della psicologia infantile in Italia, didatta AIPA  ( la prima società Junghiana nel nostro paese) e poi con Dora Kalff  a Zöllikon, vicino a Zurigo.

Dagli anni dell’ inizio della mia attività privata come analista (fine anni  ’80) molte cose sono cambiate ma la sofferenza psichica non ha cessato di esistere;   se dapprima l’esperienza analitica individuale era una risorsa preziosa, cui si ricorreva per curare i malanni dell’anima,  accettando tempi lunghi e frequenti sedute settimanali, con l’andare del tempo, accanto alla moltiplicazioni delle offerte  , si è fatta strada anche una richiesta di percorsi e risultati rapidi , spesso per evitare il dolore e la fatica. Che si tratti  di problemi degli adolescenti (nella loro variegata gamma di gravità) o della difficoltà di inserimento sociale dei giovani adulti o di ritrovare la propria autenticità per i soggetti più maturi, l’impresa richiede un  “proprio tempo” e una adeguata “dedizione”, da parte sia del terapeuta sia del paziente. Ovviamente sofferenza e disagio persistono , hanno solo cambiato modalità di espressione: accanto alla mancanza di senso che accomuna tutti gli scenari nevrotici,  abbondano le crisi di panico, i disturbi psicosomatici, le difficoltà a stabilire relazioni durevoli, le depressioni, le difficoltà di adattamento, per non parlare delle dipendenze, dei disturbi alimentari… Tutti questi sintomi spesso danno voce a un’ansia molto diffusa,  come l’ impossibilità di stare da soli, di riflettere, di sopportare il silenzio, di saper dire no alle cose che non interessano veramente e di pensare autonomamente a volte, nascondono sullo sfondo patologie più severe, dall’area borderline a quella psicotica. 

Cosa può offrire la psicologia analitica a queste sindromi della sofferenza moderna o  alle patologie più incistate e spesso mascherate dietro a sintomi comuni che non permettono  una giusta valutazione della gravità ed urgenza del disagio? Come riuscire a contrastare il prevalere dell’Inconscio e dei complessi spesso autonomi e dialettizzare l’energia preziosa che in essi è intrappolata?  

La presa in carico della sofferenza ha bisogno di una formazione rigorosa, un lavoro su di sé accurato e meticoloso  unito a molta umiltà perché ogni paziente ha una propria declinazione del patire, anche se le radici dei complessi che ci possiedono sono comuni a tutti;  per questo esigono un lungo confronto nell’analisi personale da parte dell’analista. Ciò che l’analista non può affrontare non potrà essere affrontato dal paziente.  La condivisione su quanto emerge nella relazione analitica, nuova ed antica ad un tempo, il lavoro con le immagini catturate nei sogni, nelle fantasie, aiutano a fare un ponte con ciò che è in ombra.  Aprono alla riflessione permettendo al paziente di raccontare una storia più vera, di collocarsi nel mondo in un modo più consono alle proprie possibilità. Potenzialità spesso disattese che possono mostrarsi sorprendentemente   diverse da quelle supposte e indotte da un adattamento forzato e falso, spesso unico modo che si ha avuto per sopravvivere. 

Gli incontri preliminari  orientano il percorso condiviso indicando  cadenza e sostenibilità, dal punto di vista emozionale ed economico.

Ci sono psicoterapie che ripristinano un buona capacità di adattamento dopo 50/60 sedute, ma i lavori  in profondità e maggiormente incisivi hanno bisogno di più anni. Ognuno dovrebbe avere ciò di cui ha bisogno e che gli serve per vivere meglio.